Stanno composti dietro il tavolo con quella poca trasandatezza nello stare seduti che mostra il piacere che provano nel condurre la serata: con i gomiti larghi, leggermente appoggiati, le maniche della giacca tirate leggermente sopra il polso. Oh, รจ tutto leggero. Sono anche un poโ compunti, le loro facce comprese nel ruolo di oratori. Seduti ordinatamente da un lato del tavolo โ guarda caso tutti maschi โ guardano il pubblico โ guarda caso molte femmine โ con un misto di sufficienza e spavalderia. Solo lโautore ha la decenza di mostrare un poโ di timidezza, unโespressione agra aggrappata alla faccia, da adulto incompiuto. ร anche lui, come gli altri, uno โscrittore ebreo della giovane generazioneโ. In realtร hanno qualche esitazione a definirsi cosรฌ e basta, poichรฉ tacitamente rivendicano di essere anche molte altre cose. E si piacciono. Sono in quattro e parlano compiaciuti e brillanti nonostante sia tardi e con meno parole ci guadagnerebbero.
Stanno seduti quindi, compunti e sicuri, e parlano, parlano, parlano: rigorosamente da seduti e fermamente dietro il tavolo. Forse inconsapevoli di voler marcare la distanza con il pubblico. Raccontano della difficoltร della scrittura, loro. Raccontano del rapporto con il passato, con lโidentitร , con la memoria. Loro. Ereditร pesante, dicono supponenti. Parlano di letteratura. Quella grande, quella di Saba, Svevo, Ginzburg, Levi e di tutti gli altri. Quelli dei libri che hanno segnato un secolo e molte coscienze.
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